mercoledì 30 ottobre 2013

Autunno

Autunno - Vincenzo Cardarelli

Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d'agosto,
nelle piogge di settembre
torrenziali e piangenti,
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora passa e declina,
in quest'autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.






lunedì 28 ottobre 2013

Arrampicata a Varenna

Sabato 26/10: all'inaugurazione del nuovo muro di arrampicata nel mio "vecchio" liceo mi incontro con Alex e Giorgia, cui avevo dato una mezza parola per un giretto in falesia nel pomeriggio. Dopo una settimana passata da mezza influenzata (e non è che sia tutto guarito nemmeno ora), la pigrizia era tanta, le energie non al massimo, ma i mitici insistono =D in realtà ci sarebbe anche Diego, non l'ho mai incontrato, ma sarebbero in tre, il quarto sarebbe utile per formare due coppie... allora mi dico, "bè, con il sole che c'è oggi, stare a casa è un delitto!"
Salutiamo il mitico Elio, professore di ed. fisica nel liceo, ma soprattutto artefice, mentore e guru della nostra passione per l'arrampicata, mangiamo un boccone (!!!! panzerotto + arancino... si sa mai che vengano meno le energie!) e partiamo. Passo da casa a fare veloce lo zaino, prendo una corda e via, destinazione Piona... strada facendo però ci rendiamo conto che arrivare fino in cima al lago di Como ci porterebbe via troppo tempo e decidiamo così di fermarci alla falesia di Varenna.

C'ero già stata, la prima volta un mesetto fa, bella spiaggetta........sì, spiaggetta, MA DOVE SEI FINITA?!? Realizziamo mordendoci le labbra che le piogge dei giorni passati si sono portate via la spiaggetta che c'era. Ci diciamo, bè, qualche sasso c'è, mal che vada ci si appende alla catena che è stata messa apposta per quando il livello del lago si alza.

Io, terrorizzata dall'acqua che potesse bagnare la mia corda, ok, è dry, ma cmq preferirei restasse asciutta (ringrazio la premura con cui Alex e Giorgia la recuperavano finito il tiro, - "vi lovvo" - cit.) =P odiando le onde anomale che arrivavano a bagnarci i piedi poco dopo che al largo transitavano battelli, aliscafi e imbarcazioni ringrazio tutti per il divertimento.
Abbiamo trascorso un bellissimo pomeriggio, caldo e soleggiato (il lusso di poter stare in canottiera a fine ottobre!) =)

Ecco qualche foto!


Situazione a fine settembre (foto di sx) e sabato (foto di dx).
Spiaggetta, DOVE SEI FINITA?!? =D
Diego e più lontano Alex, in azione!

I ragazzi! Facce contente =P
Bella vista mentre si va in alto.
Alex e Giorgia che meticolosamente appendono il tutto,
soprattutto per non bagnare la corda. =))

Giorgia lanciatissima sul tiro più difficile della giornata.

Ed infine un tramonto spettacolare con la sottoscritta al telefono. =)

domenica 27 ottobre 2013

English dinner.. part2

Ed ecco qui la ricetta dei crumble di mele!
Come nel caso del Cottage Pie la ricetta originale l'ho presa dal sito di J. Oliver e la potete vedere qui.
Questa volta ho seguito meno rigorosamente la ricetta originale, soprattutto per la preparazione della frutta.
J. Oliver consiglia nella sua ricetta di usare frutta fresca come rabarbaro, prugne, albicocche, fragole o pere... e io ho usato le mele =) 
In Valtellina è tempo di raccolta mele e la solita cooperativa dove vado a prendere frutta&verdura svendeva mele superbuone, magari un po' segnate a prezzo irresistibile e ne ho prese a kili ;)

Crumble di mele

Ingredienti per 6 persone:  
  • 6/8 mele golden;
  • succo di mezza arancia ;
  • 220g di farina bianca (ho usato la 00);
  • 100g di burro;
  • 70g di zucchero fino;
  • un pizzico di sale.

Procedimento per la frutta.
Ho sbucciato le mele e le ho tagliate a pezzetti, le ho messe in una casseruola antiaderente con il succo di mezza arancia. Ho unito cannella e chiodi di garofano e ho coperto a fuoco basso, mescolando di tanto in tanto. Se si asciuga troppo si possono aggiungere dei cucchiai di acqua. La frutta è pronta quando risulta morbida, ma non troppo "marmellatosa". Nel mio caso non ho aggiunto zucchero perchè che c'è già nell'impasto del crumble e le mele erano già sufficientemente dolci.

Procedimento per il crumble.
Ho impastato assieme la farina (setacciata), lo zucchero, il burro ed un pizzico di sale fino ad ottenere una consistenza tipo quella della figura sotto.

In terrine monoporzione ho sistemato sul fondo la frutta cotta e sopra ho coperto bene con l'impasto di farina, burro e zucchero.
Il tutto si inforna a forno caldo, 180 º C/350 º F / gas 4 e si cuoce per circa 20 minuti o comunque finchè la superficie non risulta bella dorata.

Nella ricetta originale si consiglia di servire accompagnato da crema pasticcera o gelato, ma a mio parere anche da solo è molto molto buono.

Gnammm!
Impasto di farina, burro e zucchero per il crumble.
Ed ecco qui i crumble alle mele finiti.
Gnammm! =P

English dinner.. part1

L'altro giorno, così, per caso, mi è venuto in mente di quando a 17 anni, ho trascorso la mia prima vacanza-studio in Inghilterra, a Exeter, nel Devonshire, contea nella verde e bellissima penisola della Cornovaglia.
Ho un ricordo splendido di quel mese trascorso in una famiglia inglese (di cui purtroppo non ricordo più il nome) frequentando un corso di lingua nella splendida Isca School.

La mia famiglia ospitante era veramente gentile, e la signora ogni giorno cucinava (e qui ho avuto fortuna perchè era veramente brava in cucina, in barba ai pregiudizi sulla cucina inglese!!!) piatti diversi e deliziosi. Io e Caroline (una ragazza francese che era ospite con me) non vedavamo l'ora arrivasse il mercoledì... Sì, perchè "on Wednesday"  era il giorno libero dal lavoro della signora e per colazione ci faceva trovare pancackes caldi con marmellate fatte in casa e sciroppo d'acero e la sera ci preparava lo Shepherd's Pie (che lei chiamava Cottage Pie) e i cumbles di frutta (mele, pere, fragole o frutti di bosco)!!!

L'altra sera ho deciso di provare a rifare, ad anni di distanza, la cena del mercoledì.. googlando qui e là ho trovato sul sito di Jamie Oliver, celeberrimo giovane chef inglese, le due ricette che proprio mi servivano.

Qui di seguito riporto, tradotta, la ricetta dello Shepherd's Pie con le lievi modifiche che ho apportato. La ricetta originale (in inglese) se volete la trovate qui.


Shepherd's Pie

Ingredienti per 6 persone:
  • 1 cipolla rossa;
  • 2 carote;
  • 2 coste di sedano;
  • 2 spicchi d'aglio;
  • un mazzetto di rosmarino fresco (io ho utilizzato quello secco);
  • olio di oliva (ho preferito usare olio extravergine di oliva);
  • 500g di carne macinata d’agnello di buona qualità (io ho utilizzato la carne macinata mista, quella per ragù per intenderci);
  • 400g di polpa di pomodoro;
  • brodo vegetale o di agnello 250 ml, preferibilmente biologici (per comodità ho usato mezzo dado vegetale per 250 ml di acqua);
  • sale marino e pepe nero appena macinato;
  • 1.5kg Desirèe patate (ho usato le classiche patate per purè);
  • 100ml di latte parzialmente scremato (ho usato quello intero);
  • una grande noce di burro.

Procedimento per la carne macinata.
Sbucciate e tritate grossolanamente la cipolla e le carote e le coste di sedano. Sbucciate e tritate finissimamente gli spicchi d’aglio (generalmente io elimino sempre l'anima specialmente se gli spicchi sono grossi). Scaldare una padella, consiglio antiaderente, a fuoco medio. Aggiungere una buona quantità di olio extravergine d'oliva, la cipolla, la carota, il sedano, l'aglio e del rosmarino. Cuocere per 10 minuti, mescolando di tanto in tanto, fino a quando il tutto non si sarà ammorbidito. Aggiungere la carne macinata e rosolare per 10 minuti, mescolando bene. Poi unire i la polpa dei pomodori in scatola. Aggiungere il brodo caldo, regolare di sale e pepe mescolando bene, quindi portare ad ebollizione. Ridurre a fuoco basso, con il coperchio leggermente socchiuso per 1 ora. Comunque la cottura varia in base a quanto liquida è la polpa di pomodoro, io alla fine ho fatto cuocere per 50 minuti perché ho scelto una polpa abbastanza densa, l’importante è ottenere alla fine un ragù ben denso.

Procedimento per il topping di patate.
Sbucciare le patate, tagliarle a metà o in quarti a seconda della loro dimensione, e metterli in una pentola di acqua bollente salata. Far bollire finché sono tenere. Scolarle in un colino e rimetterle in pentola. Schiacciarle con una forchetta (non ho usato lo schiacciapatate perché preferisco non farle diventare proprio purè cremoso). Aggiungere il latte, il burro. Regolare di sale e pepe

Preriscaldare il forno a 190 º C/375 º F / gas 5.
Mettere la carne sul fondo di una teglia da forno (io ne ho usata una classica rettangolare in ceramica). Coprire con le patate livellando bene la superficie, spennellare con dell’olio e guarnire con del rosmarino.
Infornare in forno caldo e cuocere per 25 minuti, o fino a doratura.
 
Un’idea è servire con broccoli e/o piselli.

Buon appetito!

PS: nel ragù ho aggiunto anche un pizzico di peperoncino =)


Shepherd's Pie appena sfornato =P
Ed ecco il piatto pronto! Buon appetito!

Nel prossimo post metterò la ricetta dei crumbles alle mele. Gnammm!

venerdì 25 ottobre 2013

Buongiorno Mondo ! ! !
 ...perchè stamattina mi sono svegliata così.



giovedì 24 ottobre 2013

La Città Vecchia

Così, perchè De Andrè è sempre stato e rimarrà un poeta.
A ritmo di mazurca, ispirandosi ai versi del celeberrimo poeta triestino Umberto Saba, nel 1965 compone: "La Città Vecchia".



« Se tu penserai e giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese.
Ma se capirai, se li cercherai
fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo »

to be continued...

...giusto perchè ieri mi ero focalizzata sulle Maldive, qui rimango...
3 mesi dopo gli articoli del gennaio 2009 (linkati nel post di ieri), The Guardian, ha pubblicato un altro
articolo:

In tale articolo viene riportato come il presidente delle Maldive, Mohamed Nasheed, abbia annunciato il target "carbon neutral" (traducibile in "zero emissioni") entro il 2020. L'obiettivo, a quanto si legge, verrà perseguito eliminado su tutto il territorio delle Maldive, l'uso dei  combustibili fossili e promuovendo a tappeto l'utilizzo delle risorse rinnovabili, quali turbine eoliche, pannelli solari, combustione biomasse (come le bucce dei cocchi, facilmente reperibili in loco).

Tutto questo non solo per le case, gli edifici e tutte le attività home, ma anche per i mezzi di trasporto (dalle auto alle barche), che, a quanto è scritto, verranno gradualmente sostituiti con versioni elettriche.

Ma le mie domande ora sono:

1) a che punto è questo piano di "carbon neutral" presentato nel 2009 by 2020?
2) ma... per quanto riguarda i rifiuti invece?!? Se, stando a quelle che sono le previsioni legate al climate change, le Maldive verranno sommerse, dove andrà a finire tutta quella spazzatura (tossica-nociva-pericolosa e non)?

to be continued...


NB: per approfondimenti si legga anche questo interessante articolo pubblicato sul sito climateactionprogramme.org.
Climate Action con headquarter a Londra, lavora in partnership con UNEP - United Nations Environment Programme (UNEP), il più eminente organo per la tutela e la gestione ambientale a livello globale.

mercoledì 23 ottobre 2013

No More Paradise: Maldives

Lunedì sera, Rai5, sento la parola Maldive e mi dico, bè, ottimo! ora mi guardo questo bel documentario (anche se volgeva verso la fine) che mi possa far sognare per qualche istante con le spettacolari immagini di questi atolli nell'oceano Indiano... ma... mi ritrovo con enorme stupore, tristezza e rabbia a prendere coscienza di come anche le Maldive (nell'immaginario collettivo le potrei definirle un "paradiso vergine ed incontaminato") siano catastroficamente nel più profondo degrado ambientale.

Meno di dieci minuti di documentario, ma sono sufficienti per farmi fare una ricerca sul web.

Leggo che i primi a dare l’allarme sono stati il quotidiano inglese The Guardian (e qui confermo la mia idea che ambientalmente gli inglesi sono avanti anni-luce sull'attenzione all'ambiente) e le campagne di sensibilizzazione promosse dall’ONG locale Blue Peace che, dopo anni di silenzio, hanno portato alla luce questo fatto più che preoccupante.

Sul sito del quotidiano inglese trovo un articolo risalente ai primi giorni del 2009 ed un fotoracconto dello stesso periodo.

Per inquadrare il fenomeno fornisco due numeri:
Maldive = arcipelago di 1.192 isole nell'oceano Indiano, raggruppate in 26 atolli.
Popolazione delle Maldive = 270.000 abitanti ma il turismo ogni anno fa sì che altre 650.000 persone vivano le isole (dato dell'anno 2008).

Il risultato è che più di 300 tonnellate di spazzatura al giorno si riversano su quella che è diventata l'isola-pattumiera, Thilafushi. La maggior parte di tali rifiuti proviene da Malè (capitale della Repubblica delle Maldive), una delle città a più alta densità abitativa (Wikipedia fornisce un numero come 18.000 ab/km2) (o_0). Thilafushi, un'isola di circa 150 ettari (dato 2009) che si stima cresca di un metro quadrato per giorno.

Il documentario mostra bene come rimanga ben nascosta agli occhi dei turisti e di chiunque si trovi su qualsiasi altra isola dell'arcipelago; forse guardando bene con molta attenzione, qualche nuvoletta di fumo talvolta si scorge in lontananza, ma raramente.
Nuvola di fumo, bè, perchè ovviamente oltre ai rifiuti che finiscono direttamente in mare, ci sono anche quelli che vengono bruciati direttamente e quelli che filtrano attraverso la sabbia su cui si trovano.

Vent'anni fa le Maldive erano incontaminate. Nel 1992 si è registrato il primo trasporto di spazzatura a Thilafushi ed ad oggi la situazione è catastrofica.


Visione dall'alto di un atollo delle Maldive

[immagine presa dal sito girovagate.com]


Thilafushi - vista aerea
(con i cumuli di rifiuti che visibilmente bruciano)


[immagine presa dal sito freeforumzone.leonardo.it] 
 

Qui la parola "sostenibilità" non ha più peso, è qualcosa di più grosso, si sta distruggendo lo stesso suolo, lo stesso terreno che ci dà da mangiare.
Così non si può continuare.


Per chi volesse rivedere il documentario su Rai5, questo è il link a Rai Replay. 
INDIAN OCEAN - 21/10/2013 - durata 1:02:48

Gianni Rodari

Oggi, 93 anni fa, nasceva ad Omegna, cittadina sul lago d'Orta (Piemonte), Gianni Rodari. Senza bisogno di molte presentazioni, Rodari è stato per tutti (o quasi) un compagno d'infanzia attraverso i suoi libri fantastici, e lo vorrei ricordare con una storiella pubblicata ne "Il libro degli errori" (prima edizione 1964).
Nella prefazione a questo libro Rodari scrive:  

"[...] ...il mondo sarebbe bellissimo, se ci fossero solo i bambini a sbagliare. Tra noi padri possiamo dircelo. Ma non è male che anche i ragazzi lo sappiano.
E per una volta permettete che un libro per ragazzi sia dedicato ai padri di famiglia, e anche alle madri, s’intende, e anche ai maestri di scuola: a quelli insomma che hanno la terribile responsabilità di correggere - senza sbagliare - i più piccoli e innocui errori del nostro pianeta."

La storiella, che ho trascritto qui sotto, si chiama "La bora e il ragioniere".

Buona lettura!


Gianni Rodari, "Il libro degli errori", ed. Einaudi - «Gli Struzzi»


"La bora e il ragioniere"


È facile incontrare a Trieste, negli uffici delle compagnie di navigazione, certi signori piccoli e secchi che passano la vita a incolonnare cifre e a tenere in ordine la corrispondenza con Nuova York, Sidney, Liverpool, Odessa, Singapore. Gli si può rivolgere la parola in cinque o sei lingue a scelta – l’italiano, il tedesco, l’inglese, lo sloveno, il croato, l’ungherese — e loro saltano da una lingua all’altra con la facilità con cui un uccellino salta da un ramo all’altro del suo stesso albero. Hanno mogli alte, bionde, bellissime, perché a Trieste le donne sono tutte belle. Hanno figli alti e robusti che vanno in palestra, sono campioni di canottaggio, studiano fisica nucleare, eccetera. Ma loro sono piccoli e secchi, chissà perché. Chissà poi se sono proprio tutti piccoli e secchi. Forse li pensiamo così perché ci ricordiamo del ragionier Francesco Giuseppe Franza, il famoso ragionier Franza, che la bora — quando soffiava più forte — se lo portava via.
La bora, quel gran vento di Trieste più impetuoso e veloce di un treno rapido in piena corsa.
E Francesco Giuseppe. (A proposito, non l’avevano mica chiamato così in onore del vecchio imperatore d’Austria, ma perché aveva un nonno che si chiamava Francesco e un altro che si chiamava Giuseppe). Dunque questo signore, quando era un bambino e andava a scuola, pesava sì e no quanto un gatto. Nei giorni di bora, prima di mandarlo in giro nel vasto mondo, la mamma gli faceva mille raccomandazioni e gli metteva un mattone nella cartella, perché il vento non se lo portasse via, chissà dove.
Una mattina del 1915 lo scolaro più leggero di Trieste se ne andava per l’appunto a scuola, carico di libri e di mattoni, quando un gendarme austriaco gli puntò addosso un dito minaccioso, accusandolo di manifestazione sovversiva. Francesco Giuseppe aveva indosso un cappotto verde, una sciarpa rossa e un berretto di lana bianca, e se ne andava per la strada, tutto solo, come una bandierina italiana scappata da un cassetto per turbare l’ordine pubblico dell’Impero Austro Ungarico.
Francesco Giuseppe portava già allora gli occhiali, perché era un po’ miope, ma il dito di un gendarme sapeva distinguerlo tra migliaia di dita.
Per lo spavento mollò ad un tratto la cartella. Se un pallone aerostatico avesse mollato tutto in una volta gli ormeggi e la zavorra non si sarebbe sollevato più rapidamente. Privo dei prudenti contrappesi materni, Francesco Giuseppe si taccò dal suolo e la bora lo soffiò in alto come una piuma.
Un istante dopo la piccola bandiera italiana sventolava aggrappata alla cima di un lampione.
— Scendi! — gridava l’Impero Austro Ungarico.
— Non posso — esclamava Francesco Giuseppe.
Non poteva. È difficile arrampicarsi in salita, ma arrampicarsi in discesa, col vento contrario, può essere anche più difficile.
Una piccola folla si raccolse ben presto nelle vicinanze e molti buoni triestini fingevano allegramente di sgridare il perturbatore della quiete.
— Monellaccio, ubbidisci alla signora guardia.
— Eh! I ragazzi d’oggi, non hanno più rispetto per le autorità.
Il gendarme si allontanò in cerca di rinforzi. Un salumiere uscì dalla sua bottega con una scala, un facchino del porto salì a prendere Francesco Giuseppe e lo portò giù di peso. Il ragazzo raccattò la cartella e corse via, accompagnato da applausi e risate.
Passarono gli anni, i lustri e i decenni. Francesco Giuseppe era diventato un impiegato modello, incolonnava cifre, scriveva lettere a Bangkok, accompagnava la sua bellissima signora ai concerti e i suoi figli in palestra. Ma nei giorni di bora, un po’ sul serio, un po’ per nostalgia della mamma, metteva ancora nella sua cartella quel vecchio mattone, sempre quello.
Una mattina del 1957 — una mattina di bora — un cane lo urtò mentre camminava a fatica, controvento. La cartella gli cadde su un piede. Dentro c’era il mattone, ma il ragionier Francesco Giuseppe non fece in tempo a provare dolore, perché già volava via, già scavalcava i tetti dei magazzini, il fumo dei rimorchiatori, i mercantili all’àncora nel porto, per finire aggrappato al fumaiolo di una nave in partenza per l’Australia.
A scendere non s’arrischiava, per aria non guardava nessuno. Lo scopersero, stanco e affamato, quando già la nave lasciava le acque dell’Adriatico per quelle dello Jonio.
— Capitano, un clandestino!
— Perbacco, dovremo portarcelo fino ad Alessandria d’Egitto… non possiamo mica tornare indietro per lui.
Il ragionier Francesco Giuseppe, sulle prime, si ribellò alla qualifica di «clandestino». Parlò della bora, del mattone e del cane, ma quando si accorse che il capitano era disposto a cambiare parere solo per considerarlo uno squilibrato, tacque del tutto.
Da Alessandria telegrafò alla famiglia e alla compagnia e si fece rimpatriare.
Naturalmente, nemmeno a Trieste gli credettero.
— Portato via dalla bora? Ma fate il piacere. Ditemi che un asino ha volato, piuttosto, e ci crederò.
— Rifacciamo l’esperimento, — proponeva il ragioniere. — Vi mostrerò com’è accaduto.
Quando la sua signora gli propose, invece, di farsi visitare da un dottore, decise di non insistere più per essere creduto.
— Pazienza, — si disse. — Peggio per loro. Sarà il mio segreto.
E lo è ancora. Ogni volta che arriva la bora, Francesco Giuseppe fa così: lascia passare un giorno o due senza far nulla di strano, perché nessuno s’insospettirebbe, poi chiede un pomeriggio di permesso, va sulle colline e vola.
E per volare, ecco come fa: si riempie le tasche di sassi, si lega una fune alla vita e attacca la fune a un albero; poi getta pian piano la zavorra e si solleva, si innalza fin dove la fune glielo permette, e rimane lassù tutto il tempo che gli piace, se la bora non cessa. Che fa lassù?
Si guarda intorno, si diverte ad incuriosire gli uccelli, qualche volta apre un libro e legge. Di preferenza legge le poesie di Umberto Saba, un grande poeta triestino morto pochi anni or sono. Forse la cosa vi stupirà, ma non dovrebbe. Perché un ragioniere non dovrebbe amare le poesie? Perché un uomo comune, uguale a tanti altri, non dovrebbe avere un suo prezioso segreto?
Non giudicare mai gli uomini dal loro aspetto, dalla loro professione, dallo stato della loro giacca. Ogni uomo può fare cose straordinarie: molti non le fanno soltanto perché non sanno di poterle fare, o perché non sanno liberarsi in tempo del loro mattone.



La Bora a Trieste

[immagine presa dal sito classmeteo.it]